Erice
TP
Erice, l’alto comune del trapanese, posto ad oltre 700 metri d’altitudine, custodisce uno scrigno di storia e architettura antica, che lo rende uno tra i più celebri della sua provincia. Un borgo di oltre 28500 abitanti, dei quali tuttavia solo un decimo permane ad abitare la cittadina stabilmente tutto l’anno.
Erede di antiche memorie, Erice costituì uno dei centri nevralgici della presenza cartaginese in Sicilia e prima ancora, insieme a Segesta, del misterioso popolo degli Elimi, primitivi abitanti della Sicilia la cui identità non è stata del tutto svelata dagli archeologi. Il nome Erice rimanda alle sue vetuste origini, derivando dal mitico Eryx, gigante dalla forza incredibile e figlio di Afrodite e di Boote, poi ucciso dall’imbattibile Eracle; e la persistente presenza del nome topografico nelle fonti antiche, da Tucidide a Virgilio, testimonia l’importanza di cui, già in antico, Erice godeva.
Fenici, Romani, Arabi, Normanni: molte le genti straniere che qui hanno fermato il loro cammino, decidendo di stabilirvisi grazie all’importanza strategica dei luoghi. Ed è proprio all’età normanna che risale il Castello, arroccato sull’altura che è il vero cuore del comune, noto come Gebel-Hamed durante l’occupazione araba, e poi come Monte San Giugliano dall’epoca normanna sino ad età recente.
La storia medievale e moderna di Erice è costellata dal crescente insediarsi di ordini religiosi nei territori trapanesi e nella conseguente crescita di luoghi di culto, il cui principale esempio è qui costituito dalla Chiesa Madre, costruita per volere di Federico d’Aragona nel XIV secolo a scopo difensivo. Sembra strano, a prima vista, che una chiesa possa essere stata concepita quasi come uno strumento di difesa, oltre che di fede, eppure la destinazione anche militare dell’edifico è testimoniata dalla sua singolare architettura, caratterizzata da forme massicce, dalle merlature e dal campanile quadrangolare.
Agli occhi del visitatore odierno, la Chiesa Madre appare come un notevole esempio dello stile neogotico ottocentesco, poiché delle fattezze originarie resistono soltanto i due portali, mentre i rimaneggiamenti successivi hanno nel tempo modificato il prospetto degli ambienti. La Chiese è dedicata alla Vergine Assunta, patrona del centro e dei suoi agri, onorata come Madonna di Custonaci durante una lunga festa che si estende per un’intera settimana precedente l’ultimo mercoledì di Agosto, vero e proprio fulcro delle celebrazioni con la processione che si snoda per le vie della cittadina.
Il volto medievale di Erice è garantito anche da un altro evento religioso: la rappresentazione dei Misteri che si svolge annualmente sin dal XVI secolo, una versione più piccola, ma non per questo meno suggestiva, della gemella celebrazione che si tiene a Trapani, in occasione del Venerdì Santo, con la rievocazione dei momenti della Passione attraverso gruppi statuari.
Che Erice abbia preservato un respiro antico, è testimoniato dagli erti e stretti vicoli del borgo, dove archi di passaggio offrono gradevoli scorci, e dalla presenza di secolari tradizioni artigianali e gastronomiche, dalla lavorazione della ceramica ai celebri dolci locali, come i Mustaccioli, prodotti dalle monache di clausura, e dalla Genovese alla crema.
Ma il passato non sarebbe nulla, se non giovasse alla comprensione e alla prosecuzione del presente, e se comprendere le nostre origini significa possedere maggior chiarezza sul nostro futuro, allora non apparirà strano come uno degli elementi maggiormente catalizzatori dell’attenzione non solo nazionale sul centro ericino sia costituito dal Centro Internazionale di Cultura Scientifica, voluto da A. Zichichi e dedicato a Ettore Majorana, e soprattutto ospitato nella Chiesa di s. Domenico, posta in centro.
Un itinerario di visita ad Erice non può trascurare il Museo comunale “Antonio Cordici”, che preserva reperti antichi e opere d’arte moderne, sito in Piazza Umberto I.
Uno dei residui del passato ivi custoditi ci consente un simbolico congedo da Erice: la testa di Venere Ericina, significativa testimonianza del culto che i Romani operavano sul monte, lì dove sorge il Castello Normanno, ma le cui origini risalgono appunto alla frequentazione latina di quei luoghi. E proprio lì sorgeva, all’interno dell’area sacra alla dea, un faro che fungeva da guida a chi proveniva dal mare. E come l’antico faro, così il monte, con i suoi ricordi ed il suo Castello è ancora oggi un richiamo privilegiato per chi abbia voglia di ascendere al suo passato, mai morto qui ad Erice.